Con quasi 18 mila dipendenti e oltre 1000 aziende, l’industria conciaria è uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy. Con un fatturato annuo pari a 4,6 miliardi di euro, è considerata leader mondiale sia in termini di valore che di capacità di sviluppo tecnologico. Non solo: la lavorazione della pelle, in Italia, è prima nel mondo per innovazione e attenzione all’ambiente, ed è considerata un tipico esempio di successo del modello distrettuale, che caratterizza una buona parte dell’economia manifatturiera nazionale.
Veneto, Lombardia, Toscana e Campania sono i luoghi dove ancora oggi la conceria primeggia, unendo lo sguardo al futuro con la sapienza tradizionale che soltanto una storia secolare può fornire. Basti pensare all’antica Pompei, che ancora oggi, con siti archeologici costituiti da vasche in pietra e mattoni, testimonia quanto è antico questo comparto artigianale:la città guardava alla conceria come ad uno dei pilastri economici più importante e la riteneva un’attività nobile oltre che redditizia.
Se le restrizioni relative alla comparsa della pandemia hanno bloccato l’industria nel 2020, il settore delle lavorazione pelle non si è fatto scoraggiare e nel 2021 sta basando la propria ripartenza sul lusso: secondo il report Altagamma Consensus pubblicato nel novembre 2020, il luxury crescerà del 22% nel 2021, con un aumento del 6% rispetto ai dati precedenti. D’altronde, la conceria Made in Italy come ad esempio le aziende di Leather & Luxury è sempre stata legata al lusso e alla qualità: marchi globali come Gucci e Prada si distinguono nel mondo anche grazie all’elevata qualità dei materiali.
Lusso e lavorazione pelle, un binomio indissolubile in Italia
Con una quota di produzione del 65%, l’Italia si classifica al primo posto in Europa per produzione di pellami. Non solo: è anche il primo Paese esportatore al mondo e soprattutto è primo per produzione ed export di pellami per il settore del lusso. Qualità Made in Italy e lusso si confermano, come da tradizione, un binomio indissolubile che non smette di guardare al futuro. Da anni l’obiettivo è cercare soluzioni sempre più sostenibili nella produzione e nella lavorazione delle pelli, e l’industria italiana si conferma interlocutore d’avanguardia in questo settore.
A supporto della direzione ecologica fortemente ricercata, l’Unione Nazionale delle Industrie Conciaria da 18 anni pubblica il rapporto di sostenibilità e testimonia la ricerca continua di miglioramento nell’uso delle risorse, nel riciclo e nella diminuzione delle emissioni durante tutto il processo di produzione. Un’industria dai livelli di certificazione ecosostenibili senza pari.
L’industria conciaria tra tradizione e ricerca
Se l’origine animale del prodotto è al centro di critiche di movimenti animalisti ed ecologisti, tante sono le risposte fornite dal settore. Le pelli lavorate dall’industria conciaria provengono da allevamenti non legati alla deforestazione. Tante sono poi le alternative vegane disponibili sempre più sul mercato, anche se la loro sostenibilità non è da dare per scontata.
Uno studio di Coatings avverte che spesso i materiali “alternativi” contengono un’elevata quantità di plastica, rendendoli di fatto prodotti meno accettabili dal punto di vista ecosostenibile. E allora la soluzione può essere rendere la “vera pelle”, come può essere definita solo quella di animale secondo il decreto 68/2020, materiale circolare per eccellenza.
Lavorazione pelle: l’innovazione come risposta alla pandemia
La forte capacità di innovazione e di fornire risposte ai problemi del futuro è dimostratadalla reazione che l’intero comparto sta attuando di fronte alle sfide generate dalla pandemia. Se il Covid ha rallentato il settore limitando il fatturato del 2020 a 3,5 miliardi riportando una perdita del 23% rispetto al 2019, ha anche comportato uno spostamento dell’impegno verso le tematiche della sostenibilità. La ricerca su questo settore ha assunto un ruolo ancora più centrale nelle oltre mille industrie italiane, che ad essa dedicano in media il 4% del fatturato, fino a toccare massimi del 10%. Cifre non comuni da destinare al settore R&D.
L’innovazione è continua in tutti i distretti: Zanellato in Veneto ha annunciato che entro il 2023 la sua produzione sarà conciata con Luxethic (una formula basata su gusci di mandorle, scarti di produzione alimentare) mentre la concia del pellame Evo di Foglizzo verrà prodotta da foglie di ulivo.
Non solo nuove formule, ma anche riuso: l’economia circolare è uno dei nuovi modelli da conoscere e applicare. E l’industria conciaria lo sa bene: ad ora, il 75% degli scarti di lavorazione della pelle viene rigenerato. Come accade a Castelfranco di Sotto, in provincia di Pisa, dove Sciarada, azienda specializzata negli scamosciati, ha lanciato Evolo, nato dal recupero di scarti di lavorazione del camoscio. O ancora come avviene a Pozzuoli dove la Stazione Sperimentale per l’industria della pelle partecipa a fianco di aziende venete al progetto Ri-Leather, che nasce con l’obiettivo di riutilizzare e riciclare gli scarti di pelle.
E come la storia insegna, per ogni innovazione, nascono nuove figure professionali necessarie: è il caso dell’Innovation leather manager, la nuova figura tecnica dedicata alla ricerca e allo sviluppo di prodotti e processi sostenibili nella filiera dei prodotti in pelle, come indicato dal sito Il Sole 24 ore in questo articolo. Se il trend continua in questa direzione innovativa, c’è da pensare che questa non sarà la sola professione ad essere sempre più necessaria nel panorama industriale italiano.
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